Il 25 novembre si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, perché il tema purtroppo è sempre più attuale. Tante sono le iniziative proposte da comuni, regioni, teatri; tanti i ministri, politici, personaggi pubblici che ne hanno parlato. In questa giornata sembra che tutti pensano alle vittime, tutti si scandalizzano, si dispiacciono, si preoccupano per le donne vittime di violenza. I dati che vengono snocciolati sono agghiaccianti: “la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e 44 anni”, “una donna su tre nel mondo ha subito violenza”.
Una su tre! Una donna su tre vuol dire che potremmo tutti conoscere almeno una donna che nella sua vita ha subito violenza. Una su tre vuol dire che il rischio è così alto che potrebbe capitare ad ognuna di noi. E allora una domanda sorge spontanea e ancora non trova risposta: perché nel 2017, una donna, libera, al primo spintone, o anche solo alle prime parole cattive, non allontana da sé per sempre l’uomo che la sta minacciando? Perché ci battiamo per le quote rosa, per gli stipendi uguali tra uomini e donne, e poi non riusciamo ad allontanare, a denunciare l’uomo che ci tiene intrappolate, incarcerate, che ci priva di libertà e dignità? Cosa scatta nella testa e nel cuore di queste donne… questa domanda senza risposta è forse una delle più gravi conseguenze di questo male. Ma soprattutto le conseguenze per la salute, fisica e mentale, sono davvero devastanti.
Eppure qualcosa si deve fare e non basta una giornata mondiale, non bastano iniziative e discorsi di un giorno solo. Bisogna andare alla radice di questo cancro e curare le cellule infettate ma soprattutto salvare quelle cellule ancora sane ma in grave pericolo. E cosa si può fare? Forse la risposta a questa domanda non è poi così difficile: educare!
Educare alla differenza dei generi ma anche all’uguaglianza. Educare che le donne non sono inferiori agli uomini, in nessun campo. Educare fin da bambini al rispetto verso tutti: maschi, femmine, giovani, anziani… tutti! L’educazione è la risposta a tutti i mali, eppure nessuno ci investe mai. Dati come quelli detti sopra dovrebbero scuotere le istituzioni a fare di più, ad investire maggiormente sull’educazione non solo nelle scuole, ma rivolta a tutte le fasce di età e di estrazione sociale. Investire maggiormente in azioni concrete sui territori, di formazione sugli istituti sanitari affinché siano preparati ad offrire servizi di assistenza adeguati.
E i centri di assistenza? Queste donne hanno un bisogno assoluto di parlare ed essere ascoltate. La possibilità per la vittima di confidarsi con personale preparato che sia in grado di ascoltare empaticamente e rispondere in maniera appropriata andrebbe inclusa nell’assistenza medica di base fornita dai sistemi sanitari nazionali. Eppure così non è! Questi centri anti violenza si basano soprattutto su volontari, spesso donne che hanno subito lo stesso trattamento e che per fortuna ne sono uscite.
La violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani, ma soprattutto come conseguenza di una discriminazione di genere e dal persistere di delle ineguaglianze tra uomini e donne. Una volta accettato questo, la lotta può essere finalizzata e raggiungere finalmente un risultato che ad oggi appare ancora molto lontano: niente più fatti di cronaca nera di questo genere, niente più donne violentate, stuprate, sfigurate con acido, niente più donne uccise, morte.