Ieri sera sono andata vedere il film su Fabrizio De André, di cui sono una grandissima fan e all’uscita dal cinema, nonostante fosse mezzanotte, ho pensato di scrivere una recensione.
Poi ci ho ripensato e più che una recensione vera e propria ho deciso di scrivere una riflessione, del tutto personale sul film.
Per prima cosa, se siete degli appassionati come me o anche solo dei curiosi, andate a vedere il film, perché va visto! Al cinema c’è stato solo il 23 e il 24 gennaio, se ve lo siete persi dovrete aspettare la messa in onda sulla Rai il 13 e 14 febbraio.
Perché va visto? Perché credo sia sempre bello scoprire la storia di un personaggio, soprattutto uno come il mitico Faber che è sempre apparso chiuso, introspettivo e lontano dal mondo dei vip. In questo film quindi scoprirete parte della sua vita, il suo amore per la musica, che è usata benissimo come colonna sonora durante ogni scena del film, il suo spirito libero e anticonformista, il suo modo del tutto speciale e intenso di amare. Gli attori sono molto bravi ad impersonare i personaggi, le ambientazioni bellissime, tanto che mi è venuta voglia di tornare a Genova e la musica perfetta e per nulla scontata.
Ogni sua canzone, non sempre le più famose, rispecchia perfettamente il sentimento descritto dalla scena. La musica è in primo piano, com’è giusto che sia visto che si parla di un cantautore che ha fatto della musica la sua vita.
Ma (si perché c’è un ma…) qualcosa mi ha lasciata perplessa. Il film è molto romanzato, quasi a volerlo rendere a tutti i costi il protagonista buono della fiabe, l’eroe greco, il principe azzurro. E’ molto incentrato sulla storia d’amore con Dori Ghezzi, che è una bellissima storia d’amore ma che non credo sia il vero motore che ha mosso la sua vita.
Ma a parte questo, la cosa che mi ha lasciato di più con l’amaro in bocca e che forse mi aspettavo di trovare, è la poca considerazione data alle canzoni. Mi spiego meglio… Ogni pezzo di De André non è una “semplice” canzone ma piuttosto una storia e come tale dietro c’è un lavoro di documentazione, raccolta dati, studio dei personaggi. I personaggi poi sono quasi sempre persone esistite davvero, sono vite vissute da raccontare o vite distrutte da riscattare.
Pochissimo spazio, in questo film, è stato dato agli ultimi che sono stati quasi un’ossessione per Faber. Le prostitute, i trans, gli assassini, i nomadi, i drogati e potrei andare avanti ancora per molto, sono i veri personaggi delle sue canzoni e non vengono solo cantati ma vengono scoperti e fatti scoprire da De André. L’amore di cui si parla nelle sue canzoni non è un semplice amore tra un uomo e una donna: è amore per una puttana (Via del Campo), è amore per un trans (Princesa), è amore per la musica (Il suonatore Jones), è amore per un figlio (Tre madri), è amore per la moglie di un altro (Dolcenera), è un amore che finisce (La canzone dell’amore perduto)…
Si accenna all’album La buona novella, ma non si dice quanto studio c’è dietro quei testi, quanto amore c’è nel descrivere la figura di Giuseppe (E fosti tu Giuseppe/reduce del passato/ falegname per forza padre per professione), l’umanità di Maria che non è santa, Madonna o altro ma semplicemente una madre obbligata a vedere il figlio morire (non fossi stato figlio di Dio/ t’avrei ancora per figlio mio), fino alla solitudine del ladrone buono Tito.
Ecco, credo che un film su Fabrizio De André non può e non dovrebbe tralasciare i protagonisti delle sue canzoni, gli emarginati a cui ha dato voce, che ha fatto scoprire anche e soprattutto all’interno di una società alto borghese in cui Fabrizio De André è nato e cresciuto.
Questo quello che penso e ho pensato durante tutto il film, quindi vi consiglio sì di vedere il film, ma soprattutto di approfondire meglio ogni testo di Faber, che sono la vera anima delle canzoni. Vi stupirete di quante sfaccettature, quante storie, quanta vita c’è in ogni canzone. Vi lascio con la sua citazione che amo di più:
Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.