Ho sempre pensato che un lavoro non si debba fare solo per portare a casa lo stipendio, ma per passione. Crescendo ho scoperto che non sempre è così e che le persone che riescono a fare il lavoro per cui hanno studiato e che hanno sempre voluto fare sono poche e soprattutto fortunate. Io sono una di queste!
Ho studiato per fare la maestra e appena mi sono laureata smaniavo dalla voglia di iniziare a lavorare il prima possibile. Ho iniziato a 23 anni, carica di un bagaglio teorico ma senza nessuna pratica. Ammetto che all’inizio mi sentivo spaurita e a volte non sapevo neanche cosa stavo facendo.
Il secondo anno ho accettato il mio primo incarico sul sostegno pur non avendo la specializzazione; ed ecco che per la prima volta mi trovo ad accettare un lavoro per necessità . All’inizio mi sentivo totalmente incapace e i bambini, che hanno un sesto senso per certe cose, se ne sono accorti. Ho iniziato così a studiare per specializzarmi; quell’anno tra rincorse per i corridoi e tante urla ho deciso che quel lavoro l’avrei scelto e non più “solo per mangiare”!
In questi 8 anni di lavoro sul sostegno di alunni ne ho avuti tanti, ma i “miei bimbi” sono stati precisamente 11. Di ognuno ricordo il volto, i loro punti di forza e le loro paure. Ricordo il nostro primo giorno di scuola insieme, il loro sguardo curioso e interrogativo. Ognuno di loro, in un modo o nell’altro, mi ha messo alla prova… dovevano capire se potevano fidarsi di me, questa sconosciuta.
Ricordo il momento in cui anche i più diffidenti hanno iniziato a fidarsi di me, quando il nostro rapporto è cambiato. Con alcuni quel momento è arrivato prima, con altri c’è voluto tempo e pazienza.
Ho assistito a piccole a grandi vittorie, ma non sono mancate le brutte e inaccettabili sconfitte. Ricordo ogni mio errore e le notti insonni quando pensi e ripensi a cosa non hai fatto, a cosa potevi fare di più, a cosa ti è sfuggito.
Ricordo ogni mamma e ogni papà , il loro sguardo la prima volta che mi hanno visto così giovane, così piccola. Si leggeva perfettamente nei loro occhi la preoccupazione di lasciare il proprio figlio nella mani di quella ragazzina. Alcuni mi hanno chiesto apertamente l’età ( “Ma quanti anni hai?”), altri non ne hanno avuto il coraggio.
Ricordo tante cose e tante le ho dimenticate, ma c’è un momento che non dimenticherò mai… il momento preciso in cui quei bambini si sono presi un pezzo del mio cuore e mi hanno regalato un pezzo del loro. Quel momento alla fine dell’anno in cui, nonostante la fatica e la stanchezza, capisci che anche questa volta la cosa più bella che ti è capitata sono proprio loro. I loro occhi soddisfatti quando finalmente hanno raggiunto un traguardo, i loro sorrisi, i loro “Domani ci sei?”, a volte i loro abbracci.
Alla fine di ogni anno mi rendo conto sempre di più che certi lavori si scelgono e io il mio l’ho scelto e lo scelgo ogni giorno. Qualcuno mi ha detto: “Ma tu non sei un’insegnante normale?”. Beh direi proprio di No, non sono normale e spero di non diventarlo mai!
Il mondo sarebbe migliore se di persone che fanno quello che fai tu con amore ce ne fossero di più. Ti abbraccio Robi!
Grazie Loredana!
Bell articolo e complimenti… tra i miei rimpianti (oltre all Erasmus) ho anche quello di essere insegnante o comunque di fare un lavoro più “sociale” ( con gli anni poi ho cercato di colmare questi miei rimpianti facendo la facilitatrice linguistica, prima come volontaria e poi su progetti saltuari)
Grazie. Per me fa parte di quel costruire che dicevi nel tuo post. Il mio lavoro lascia qualcosa a me ma soprattutto nelle vite degli altri.